domenica 18 dicembre 2011

S.Natale 20011

La cruna del lago di Renzo Romano

Lettera a Gesù Bambino

Un tempo Natale era sinonimo di Gesù Bambino.
Era lui che portava i regali ai bambini buoni e carbone a quelli cattivi.
“Guarda che se fai i capricci Gesù Bambino non ti porta niente” era espressione frequente di mamme e papà di fronte alle marachelle dei loro piccoli.
I bambini di un tempo credevano a Gesù Bambino e allora, per qualche istante, “facevano i bravi”.
Erano creduloni i piccoli di tanti anni fa, per niente scafati, tuttavia furbi abbastanza... da capire che, una volta scoperto l’inganno, sarebbe stato meglio tenere il segreto per sè e non rivelare a nessuno il dolce imbroglio.
Ricordo con estrema chiarezza il momento in cui scoprii che Gesù Bambino era in realtà mio papà e che i regali piuttosto che dal Cielo arrivavano da un favoloso negozio di giocattoli di Como, il “Mantovani”.
Eravamo vicinissimi a Natale, casualmente vidi in un armadio della camera dei miei genitori un pacco colorato.
Incuriosito lo aprii.
Conteneva un trenino di legno.
Proprio come quello che avevo descritto nella mia lettera a Gesù Bambino pregandolo di portarmelo per Natale.
Non fu certamente uno shock.
Qualche dubbio l’avevo, ma scoprire che Gesù Bambino non esisteva fu comunque traumatico...
Tuttavia mi guardai ben dal dirlo ai miei genitori ben conscio delle possibili conseguenze.
Conseguenza che toccai con mano l’anno successivo quando ebbi l’imprudenza di rivendicare la scoperta dell’inganno a mio papà.
Fu così che Gesù Bambino smise di venire a casa mia ogni Natale.
E addio regali, addio sorpresa, addio attesa!
E’ ritornato tanti anni dopo Gesù Bambino a casa mia.
E’ ritornato a portare regali alle mie bimbe.
E’ venuto per tanti anni fino a quando le mie figliole sono diventate “grandi” e non hanno resistito a rivelarmi che avevano scoperto l’imbroglio...
E così per la seconda volta Gesù Bambino è scomparso da casa mia.
Non si fatto vivo per anni, finché la notte di Natale di qualche anno fa è riapparso a casa di mia figlia carico di bellissimi doni per i miei due nipotini.
Giulio e Camilla, i miei nipotini, mi sembrano, seppure piccolissimi, più scaltri di mamma e papà e soprattutto di suo nonno.
Credo proprio che Gesù Bambino in casa loro arriverà ancora per tanti anni.
Chissà dove si rifornirà Gesù bambino di giocattoli?
Un tempo, travestito da papà li comperava al “Mantovani”...
Il Mantovani, chi non lo ricorda?
Era un bellissimo negozio di giocattoli che si trovava proprio di fronte ai Portici Plinio dove oggi si vendono profumi e scarpe.
Eravamo alla fine degli anni quaranta, la guerra con le sue tragedie alle spalle, i grandi guardavano fiduciosi in avanti, i piccoli “giocavano” soprattutto con la fantasia.
I giocattoli, quelli veri, nuovi, erano alla portata di poche famiglie.
Mamme e papà si arrangiavano in tutti i modi.
Mia mamma mi aveva regalato una filovia con tanto di aste che lei stessa aveva “costruito” con grande maestria...
Dicevo del Mantovani, era una casa dei sogni dove si trovavano i giochi più ambiti: il meccano, le bambole, i cavallucci di legno, le automobiline di latta, i soldatini di piombo, la dama, i palloni...
Gesù Bambino, il Mantovani, l’attesa dei regali...
Mi piace lasciarmi trasportare dal piacere del ricordo.
La mia memoria è prodigiosa.
Ricordo tutto di allora, provo le stesse emozioni, rivivo attimo per attimo fatti e sentimenti.
E’ generoso con me il Cielo.
Poter rivivere il passato, ribadisco, rivivere non rimpiangere, è privilegio prezioso.
E’ però anche strana la mia memoria...
Così come miracolosamente ricordo tutto del lontanissimo passato, ebbene, allo stesso modo dimentico tutto, proprio tutto, degli avvenimenti più recenti.
Momento per momento posso raccontare storie lontanissime nel tempo, ma, neppure pazientemente sollecitato, riesco a ricordare dove ho messo quei maledettissimi occhiali che, ne sono sicurissimo, avevo appoggiato proprio qui... oppure mi dimentico il nome della medicina per Tartufo, il mio gatto che soffre d’incontinenza... anzi mi scordo proprio di passare dalla farmacia...
Mistero della memoria!
Forse il motivo è solo geometrico ...
La memoria è una scatola, ogni uomo ne ha una di dimensione diversa che si riempie di volta in volta di ricordi fino a quando è piena... e non ci sta più niente!
La mia scatola della memoria forse è piccola, o forse è talmente piena che non c’è più posto per niente e nessuno.
Forse inconsciamente neppure tento di togliere il coperchio... ho paura che una volta scoperchiata, i ricordi possano scappare via... e lasciarmi davvero “senza memoria”.
Vorrei tanto una memoria di scorta, magari piccola visto che il mio vivere è in ripida discesa..
Quasi quasi... una letterina a Gesù Bambino gliela scrivo.
“Caro Gesù Bambino,
fammi avere una memoria di scorta, anche piccola, per le minime cose... il numero di telefono della zia, le calze di lana, le chiavi della macchina, il compleanno di mia suocera, le medicine per la diarrea di Tartufo...
In cambio ti prometto di fare sempre il bravo, obbedire a Giulio e Camilla, non fare arrabbiare la nonna.”
Io, a Gesù Bambino ci credo, e come ci credo!
Sono sicuro che dopo tanti anni ritroverà la strada di casa mia..
Aspetto impaziente la notte di Natale per ritrovarlo dopo tanto tempo e soprattutto ricevere in dono il pacco colorato con dentro la mia memoria di scorta.
S.Natale 20011

La cruna del lago di Renzo Romano

Lettera a Gesù Bambino

Un tempo Natale era sinonimo di Gesù Bambino.
Era lui che portava i regali ai bambini buoni e carbone a quelli cattivi.
“Guarda che se fai i capricci Gesù Bambino non ti porta niente” era espressione frequente di mamme e papà di fronte alle marachelle dei loro piccoli.
I bambini di un tempo credevano a Gesù Bambino e allora, per qualche istante, “facevano i bravi”.
Erano creduloni i piccoli di tanti anni fa, per niente scafati, tuttavia furbi abbastanza... da capire che, una volta scoperto l’inganno, sarebbe stato meglio tenere il segreto per sè e non rivelare a nessuno il dolce imbroglio.
Ricordo con estrema chiarezza il momento in cui scoprii che Gesù Bambino era in realtà mio papà e che i regali piuttosto che dal Cielo arrivavano da un favoloso negozio di giocattoli di Como, il “Mantovani”.
Eravamo vicinissimi a Natale, casualmente vidi in un armadio della camera dei miei genitori un pacco colorato.
Incuriosito lo aprii.
Conteneva un trenino di legno.
Proprio come quello che avevo descritto nella mia lettera a Gesù Bambino pregandolo di portarmelo per Natale.
Non fu certamente uno shock.
Qualche dubbio l’avevo, ma scoprire che Gesù Bambino non esisteva fu comunque traumatico...
Tuttavia mi guardai ben dal dirlo ai miei genitori ben conscio delle possibili conseguenze.
Conseguenza che toccai con mano l’anno successivo quando ebbi l’imprudenza di rivendicare la scoperta dell’inganno a mio papà.
Fu così che Gesù Bambino smise di venire a casa mia ogni Natale.
E addio regali, addio sorpresa, addio attesa!
E’ ritornato tanti anni dopo Gesù Bambino a casa mia.
E’ ritornato a portare regali alle mie bimbe.
E’ venuto per tanti anni fino a quando le mie figliole sono diventate “grandi” e non hanno resistito a rivelarmi che avevano scoperto l’imbroglio...
E così per la seconda volta Gesù Bambino è scomparso da casa mia.
Non si fatto vivo per anni, finché la notte di Natale di qualche anno fa è riapparso a casa di mia figlia carico di bellissimi doni per i miei due nipotini.
Giulio e Camilla, i miei nipotini, mi sembrano, seppure piccolissimi, più scaltri di mamma e papà e soprattutto di suo nonno.
Credo proprio che Gesù Bambino in casa loro arriverà ancora per tanti anni.
Chissà dove si rifornirà Gesù bambino di giocattoli?
Un tempo, travestito da papà li comperava al “Mantovani”...
Il Mantovani, chi non lo ricorda?
Era un bellissimo negozio di giocattoli che si trovava proprio di fronte ai Portici Plinio dove oggi si vendono profumi e scarpe.
Eravamo alla fine degli anni quaranta, la guerra con le sue tragedie alle spalle, i grandi guardavano fiduciosi in avanti, i piccoli “giocavano” soprattutto con la fantasia.
I giocattoli, quelli veri, nuovi, erano alla portata di poche famiglie.
Mamme e papà si arrangiavano in tutti i modi.
Mia mamma mi aveva regalato una filovia con tanto di aste che lei stessa aveva “costruito” con grande maestria...
Dicevo del Mantovani, era una casa dei sogni dove si trovavano i giochi più ambiti: il meccano, le bambole, i cavallucci di legno, le automobiline di latta, i soldatini di piombo, la dama, i palloni...
Gesù Bambino, il Mantovani, l’attesa dei regali...
Mi piace lasciarmi trasportare dal piacere del ricordo.
La mia memoria è prodigiosa.
Ricordo tutto di allora, provo le stesse emozioni, rivivo attimo per attimo fatti e sentimenti.
E’ generoso con me il Cielo.
Poter rivivere il passato, ribadisco, rivivere non rimpiangere, è privilegio prezioso.
E’ però anche strana la mia memoria...
Così come miracolosamente ricordo tutto del lontanissimo passato, ebbene, allo stesso modo dimentico tutto, proprio tutto, degli avvenimenti più recenti.
Momento per momento posso raccontare storie lontanissime nel tempo, ma, neppure pazientemente sollecitato, riesco a ricordare dove ho messo quei maledettissimi occhiali che, ne sono sicurissimo, avevo appoggiato proprio qui... oppure mi dimentico il nome della medicina per Tartufo, il mio gatto che soffre d’incontinenza... anzi mi scordo proprio di passare dalla farmacia...
Mistero della memoria!
Forse il motivo è solo geometrico ...
La memoria è una scatola, ogni uomo ne ha una di dimensione diversa che si riempie di volta in volta di ricordi fino a quando è piena... e non ci sta più niente!
La mia scatola della memoria forse è piccola, o forse è talmente piena che non c’è più posto per niente e nessuno.
Forse inconsciamente neppure tento di togliere il coperchio... ho paura che una volta scoperchiata, i ricordi possano scappare via... e lasciarmi davvero “senza memoria”.
Vorrei tanto una memoria di scorta, magari piccola visto che il mio vivere è in ripida discesa..
Quasi quasi... una letterina a Gesù Bambino gliela scrivo.
“Caro Gesù Bambino,
fammi avere una memoria di scorta, anche piccola, per le minime cose... il numero di telefono della zia, le calze di lana, le chiavi della macchina, il compleanno di mia suocera, le medicine per la diarrea di Tartufo...
In cambio ti prometto di fare sempre il bravo, obbedire a Giulio e Camilla, non fare arrabbiare la nonna.”
Io, a Gesù Bambino ci credo, e come ci credo!
Sono sicuro che dopo tanti anni ritroverà la strada di casa mia..
Aspetto impaziente la notte di Natale per ritrovarlo dopo tanto tempo e soprattutto ricevere in dono il pacco colorato con dentro la mia memoria di scorta.

sabato 19 febbraio 2011

Libro 2011: IL GUARDIANO DELLO ZOO COMUNALE

/Users/renzoromano/Desktop/Allegria e malinconia salgono in cattedra.html/Users/renzoromano/Desktop/Renzo_Guardiano....
Allegria e malinconia salgono in cattedra
DOMENICA 13 FEBBRAIO 2011
Il nuovo libro di Renzo Romano
(l.m.) «Ditemi se le devo ancora insegnare queste cose o no. Forse, se i ragazzi non sanno più l’italiano, vuol dire che la scuola non ha più ritenuto che fosse il caso di insegnare l’italiano. Forse tutti in Italia (o meglio, in Europa) hanno deciso questo: che non è più utile insegnare la propria lingua, e si sono dimenticati di dirlo anche a me, e allora io sono l’ultima a fare una cosa che non interessa più nessuno». È un passo del nuovo libro della “prof” torinese Paola Mastrocola Togliamo il disturbo edito da Guanda. Un appello a salvare la scuola e i giovani.
Utile antidoto allo scetticismo che suscita oggi la scuola è il libro di un comasco, Renzo Romano, già docente di Matematica all’istituto Teresa Ciceri di Como ed editorialista del “Corriere di Como”. È Il guardiano dello zoo comunale (pp. 219). Un’antologia di «storie di scuola, allegre, malinconiche, dolenti» - recita il sottotitolo - che con i precedenti Le veline fanno bene alla matematica e Pitagora, il cane con il pallino della geometria costituisce un trittico. Tutto consacrato - tra facezie e sguardi nostalgici, amori platonici e non, e orgogliose rivendicazioni (un’opera del comasco Leone Leoni scoperta al Louvre durante una classica gita d’istruzione) - a quella costellazione di speranze e scartoffie, saperi e nozioni che va sotto il nome di “scuola”. Entità tanto reale e necessaria quanto, a volte, bizzarra.
Anche qui Romano adotta un registro polifonico. Si va dalla caricatura alla fotografia fedele, dal rimpianto alla pagina di diario. Fino alla consapevolezza che, si legge in uno di questi bozzetti di vita vissuta o semplicemente percepita tra banchi e lavagne, «la scuola è magico elisir di vita, volo inebriante sulle ali della fantasia». Mentre «la pensione è corsa a perdifiato verso il nulla».
Non c’è in effetti cartina al tornasole più efficace del punto di osservazione didattico per percepire il ruolo fondamentale del tempo nella vita degli esseri umani.
Al termine del suo percorso di scrittura, che demistifica e demitizza la scuola restituendone la verace e varia umanità, dopo tanto divertito e divertente peregrinare tra aneddoti curiosi e umoristici, slittamenti nella poesia e nel ricordo e ammiccamenti ad autori quali Piero Chiara, Erri De Luca e Giovanni Boccaccio, Romano ammette: «Scrivere storie di scuola è rivivere episodi arricchiti dalla saggezza del tempo e dalla lievità della memoria. I ricordi si affacciano sempre più prepotenti e vogliono farsi largo nella folla di pensieri allorché ci si appresta a raccontarli. Spingono i ricordi, si confondono con i sogni, non si distingue la realtà dalla fantasia».
Il che è poi la ricetta di ogni vero narratore. Che in questo caso, dicevo, non s’accontenta di un’unica modalità espressiva. Romano spinge spesso sul pedale dell’onomastica in senso fortemente ludico (con sapide trovate come il nordico istituto «Paga e Ciapa», l’istituto «Felice Zanzara» in località «Malaria», il prof «Sereno Camposanto»), sbircia dal buco della serratura per restituirci episodi esilaranti (su tutti, quello della preside libertina che coglie fior da fiore tra docenti e rappresentanti di libri, perché animata dal sacro fuoco del desiderio di maternità).
Ma non è questo libro il solito bestiario o stupidario “alla Marcello D’Orta”. Fa anche, Romano, un discorso molto serio. Che apre un dibattito sulla scuola di oggi. Ogni sua pagina ha lo scopo di restituire un sorriso bonario e illuminare quella routine quotidiana fatta di interrogazioni, commissioni, verbali e altre storie di ordinaria burocrazia che altrimenti apparirebbe troppo grigia.
Il volume, edito da Grisoni Sistemi Didattici di Como e illustrato dall’artista lariana Nikla Scotti, va chiesto nella sezione “Vetrina” del sito www.officinadellibro.it del Centro Professionale per Grafici “Villa Padre Monti” di Saronno.

sabato 25 dicembre 2010

venerdì 25 dicembre 2009

PITAGORA, IL CANE CON IL PALLINO DELLA GEOMETRIA

Torna il prof Mobius con un nuovo libro "Pitagora, il cane con il pallino della geometria".
E' il naturale proseguimento de "Le veline fanno bene alla matematica" pubblicato lo scorso anno.
L'incredibile prof, immaginifico quanto reale, dissacrante e riguardoso, ironico e serioso, indifferente e partecipe, distaccato e coinvolto, complice e avversario dei suoi alunni, ferocemente critico dell'elefantiasi della scuola ma innamorato dell'insegnamento, racconta questa volta le sue piccole grandi avventure agli esami di maturità.
Coloro che fossero interessati ad avere il libro possono farne richiesta all'indirizzo prof.mobius@grisoni.com sino all'esaurimento delle copie disponibili oppure al mio indirizzo renzo.romano@alice.it

mercoledì 11 novembre 2009

Il trionfo della cultura

Settembre è il mese più bello dell’anno.
Estate e autunno si sfiorano, i colori si addolciscono, la natura ritrova pacatezza e serenità dopo l’esplosione di luce e di sole, le giornate si accorciano, la ragione riprende il sopravvento sulla fantasia.
Prevale tuttavia l’umore e l’inquietudine di rientrare nella scena del vivere quotidiano.
Il ritorno ai miei luoghi sia pure dopo le vacanze è commozione che mi tocca nel profondo.
Mi sciolgo dentro quando sull’autostrada intravedo Brunate da lontanissimo, intruppato sulla mia vecchia carretta piena di mozzarelle freschissime di quelle che si sciolgono in bocca come usano dire nel Salento, vini profumati di terra rossa, olio che più puro e stravergine non c’è, olive appena colte, pomodori freschissimi.
Il mio cuore è tutto con quel grande che ha scritto “il viaggio più bello è quello del ritorno a casa”, eppure non ho animo adesso di raccontare storie di casa mia.
E allora addormento la ragione e il calendario e mi tuffo nel ricordo di una serata estiva in una bellissima cittadina in quel del Salento.
Eccone la cronaca quasi fedele.
“Il trionfo della cultura” mi sembra il titolo più appropriato a questa storia quasi vera davvero.

La via principale che attraversa il paese si allarga, diventa piazza, rende omaggio ad un antico palazzo, l’antica dignità non ancora scalfita dai secoli.
Di fronte ad esso, forse per sfruttarne il fascino, un palco, il pavimento di legno, tubi di ferro a sostenerlo.
Attorno luci colorate ed altoparlanti petulanti ad offendere gli occhi e disturbare i timpani.
Stasera spettacolo.
Cultura.
Balli e canti brasiliani per la gioia dello spirito e il piacere della vista per chi non ha voluto, o potuto, lasciare il paese per le tonificanti acque del salatissimo mare Jonio.
E’ un regalo alla cittadinanza da parte di chi gestisce la cosa pubblica.
Strade dissestate, scuole malandate, servizi carenti, possono aspettare.
La piazza già affollata.
Uomini, donne, bambini, la sedia portata da casa, in attesa.
Le luci già accese, le ultime prove degli altoparlanti.
Vai e vieni di artisti e assessori, un attimo di luce ad illuminarli e poi il buio improvviso, forse non a caso.
Un bambino piange, vuole il gelato.
Una vecchina si è addormentata, quando si comincia?
Un gruppo di giovani fa schiamazzi.
Un signore in cravatta li zittisce.
“Ssst… sta arrivando la Cultura!”
Il prete, dal portone della chiesa, scuote il capo rassegnato.
I circoli cittadini aperti, gli ex allineati, emblemi e medaglie bene in vista.
Finestre e balconi affollati.
C’è anche Cosimino, un gagliardo novantenne, su quel balcone là in alto vicino all’insegna del dentista con denti e dentiere bene in vista.
Chissà mai che un giorno non possa anche lui…
Improvviso un rullo di tamburi.
Il silenzio copre il brusio.
Una tromba, i clarini, l’orchestra è scatenata.
Ballerine e cantanti, colori sgargianti, luci colorate.
Canti, balli, musiche esotiche ed anche nostrane.
Ma, ahimè, dopo i primi entusiasmi, esaurita la curiosità, la serata ormai langue.
Noia e stanchezza nei volti degli spettatori, delusione negli attori.
Già qualcuno, la sedia sottobraccio, si è alzato.
Anche Cosimino, il novantenne che sogna la dentiera, è visibilmente annoiato.
Qualche schiamazzo.
L’assessore pensoso.
“Ed io che volevo proporre una serata dedicata alla cultura! Questa gente non merita nulla!”
Improvvisamente un’intuizione, o forse tutto era preparato.
Una ballerina, alta, mora, olivastra la pelle, i capelli lunghissimi, certamente la più bella e avvenente, fa un gesto inaspettato.
Il due pezzi del costume sgargiante privato della parte superiore.
Il reggiseno, tanti nastrini colorati, vola nel cielo.
I seni, tondi, giovani, provocanti, liberi in un’esplosione di innocente pruriginosa voglia di trasgressione.
Anche la vecchina si è svegliata.
Il bambino non vuole più il gelato.
Cosimino, mannaggia ai suoi novant’anni, che già si stava allontanando, si è letteralmente aggrappato alla ringhiera del balcone trattenuto a fatica dai nipoti allibiti…
Respinto il braccio di chi lo vuole trattenere, Cosimino inforca gli occhiali.
“Adesso sì che si comincia a ragionare!” esclama soddisfatto.
Il prete si allontana scandalizzato.
L’assessore ha ritrovato il sorriso.
Ancora una volta la “cultura” ha trionfato.

venerdì 1 maggio 2009

un lettore mi ha scritto

Al Corriere di Como,
sono indignato dal comportamento dei tifosi che hanno intonato cori razzisti contro un giocatore di colore durante la partita tra Juventus e Inter.
Poiché questi episodi si ripetono con preoccupante frequenza negli stadi devo pensare che gli italiani, e non solo essi, siano razzisti?
Com’è possibile debellare questo intollerabile atteggiamento dei tifosi negli stadi?
Cosimo Lenti


Caro lettore,
il dibattito seguito ai cori di intolleranza nei confronti del calciatore Balotelli, italiano di colore, ha toccato vette di inimmaginabile degrado linguistico e sconfortante rilassamento della ragione.
Abbiamo imparato che negli stadi alcune poco signorili espressioni hanno diritto di cittadinanza: “scemo, cornuto, figlio di…, devi morire” e via maledicendo sono considerate naturali e logiche esternazioni di sensazioni e sentimenti dettate dai piedi senza alcun afflato del cuore o della ragione.
Eppure chi ama il calcio, ed io sono tra quelli, sa che il gioco del pallone trova nei piedi dei calciatori solo il mezzo, neppure più nobile, per liberare intelligenza, cuore, fantasia, estro, creatività, passione.
Il gol, la rete che vibra, il pedatore sommerso dai compagni, la pazzia contagiosa dei tifosi che si abbracciano senza distinzione di sesso o condizione sociale, è liberazione dello spirito, esplosione di felicità, sfogo che vale almeno un ciclo completo dallo psicologo al costo di un biglietto d’ingresso allo stadio.
Questa sorte di follia collettiva che dura novanta minuti è in realtà una rappresentazione teatrale nella quale ogni attore, calciatore, tifoso, arbitro, recita volonterosamente la sua parte.
Il campione dribbla, lo spettatore applaude e impreca, l’arbitro sbaglia a prescindere (come direbbe Totò).
La partita è tragedia, commedia, farsa: la trama è sempre la stessa, l’imprevedibilità degli attori e la cieca irrazionalità della fortuna regalano tuttavia ogni volta nuove e impreviste emozioni.
A teatro quando cala il sipario tutto finisce, rimangono solo pacate o vive sensazioni.
Allo stadio, quando l’arbitra fischia la fine, comincia un’altra partita che nulla ci azzecca con quella giocata sul campo.
La moviola viviseziona ogni sussulto, il saccente paludato sentenzia dalla poltrona, la televisione spegne le telecamere sul campo ed accende i riflettori sui protagonisti.
Il calcio parlato assume il sopravvento su quello giocato.
Le disquisizioni assumono allora valore filosofico e letterario, si colorano di ammonizioni moralistiche e filologiche.
Si dispensano saggi principi e regole di comportamento: “scemo” si può intonare, “devi morire” è sconsigliabile, “bastardo” deprecabile, “negro di m.” proibito…
La miseria morale di una classifica delle espressioni di dileggio è squallido segnale dell’insignificanza della ragione annichilita dalla prepotenza dell’ignoranza e dell’irragionevolezza.
L’espressione o l’atteggiamento intollerante dei tifosi peraltro sempre nei confronti degli avversari ( i “diversi” con braghe e maglietta dei nostri colori sono invece “uguali”), a mio avviso, va severamente punito e osteggiato con provvedimenti adeguati.
Io credo, tuttavia, che certi deprecabilissimi atteggiamenti di molti tifosi durante quei novanta minuti di straripante incontrollata ebbrezza, non siano il segnale di un atteggiamento “razzistico”, ma solo espressione di scarsa o inesistente educazione oltre che di una ridotta padronanza lessicale.
Allo squallore della questione non credo sia estranea la fumosa verbosità di molti commentatori, la saccenteria di troppi soloni, la mancanza di misura nei giudizi, la pretestuosa accentuazione di presunte intenzioni o comportamenti degli attori sul campo e fuori di esso.
Divieti, multe, riprovazioni, squalifiche, forse possono essere lieve argine al degrado.
Restituire al pallone la dignità di un gioco fatto con cuore e ragione e non solo con i piedi, appare ambizioso ma necessario obiettivo.
Un’iniezione robusta di educazione accompagnata da una rivisitazione del dizionario per tutti i protagonisti appare utile allo scopo.
Cordialità