martedì 17 marzo 2009

Quelle otto lunghissime ore

"La cruna del lago" è rubrica di divagazione qualche volta seriosa, più spesso leggera, curata dall'autore di queste note sul mensile "Como e dintorni".
Il tema di questo mese è per me intrigante e inquietante.
Varrebbe discuterne.

"La cruna del lago" di renzo romano

Quelle otto lunghissime cortissime ore

Un amico carissimo, qualche mese fa, è stato sottoposto ad un complicato intervento al cuore.
Mi ha raccontato con estrema delicatezza e reticenza, quasi di timore, che da allora è tormentato da un pensiero inquietante.
Ascoltiamolo.
“Dottore, ma dove ero io in quelle otto ore in cui la mia vita(vita?) dipendeva da una macchina?”
Il cardiochirurgo mi ha guardato e mi ha sorriso, soddisfatto per la completa riuscita dell’intervento.
Mi ha sorriso, ma non mi ha risposto.
Già dove sono stato in quel lunghissimo (per i miei cari coscienti) e brevissimo( per me incosciente) intervallo di tempo?
Il mio corpo era lì, steso su un lettino, mentre attorno si agitavano scientemente medici e infermieri.
Lo hanno visto in tanti, e tutti sono pronti a giurare che ero proprio io quella persona (persona?) piena di tubi e fili, distesa su una specie di tavolo bianco e illuminata da lampade accecanti.
Ma l’altro, o forse lo stesso io, quello che non si vede, non si tocca, ma si sente, eccome si sente, dov’era?
La domanda è intrigante.
La razionalità si scontra con ogni possibile risposta.
L’altro mio “io”, comunque lo si chiami, pensiero, anima, soffio vitale, sentimento, non era lì con me perché non ho traccia della sua presenza nella memoria: otto ore di vuoto assoluto.
Tento di dare ordine ai miei pensieri.
Se questo “io” cessa di esistere al momento in cui una macchina tiene in vita l’altro “io”, allora significa che gli “io” sono due: uno che vedi e tocchi, l’altro che senti, ma che non sono legati.
Spero di non essere blasfemo se affermo che il primo “io” può vivere anche senza il secondo.
Sul secondo “io”, quello che non si vede, non so dire se può esistere senza il primo. Io non l’ho sentito in quelle otto ore, pertanto dovrei dedurre che se n’è andato (chissà dove) per ritornare al momento del risveglio del primo “io”.
Mi accorgo che i pensieri si avviluppano in un vortice di razionale irrazionalità che va oltre le mie capacità di intuire, non gia di comprendere, che cosa si nasconde dietro la mia domanda: “dov’ero in quelle otto ore?”
Vita, anima, pensiero: confesso la mia assoluta incapacità non solo di definirli, ma neppure di descriverli.”
Dopo questa rassegnata dichiarazione d’impotenza della ragione il mio amico mi ha guardato in attesa di qualcosa.
L’ho guardato, ho sorriso, proprio come il cardiochirurgo.
Poi il silenzio

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